Nel mondo della profumeria vi sono molte materie prime su cui aleggia un’aura di mistero e di magia. A volte, ciò è dovuto alla confusione creata dalle omonimie, come nel caso del Musk o dell'Ambra, che indicano ciascuno due ben diverse materie prime dal profumo estremamente differente, a seconda che l’origine sia animale o vegetale. Il mito aleggia poi su preparati odorosi citati nella Bibbia e tra essi il Nardo, ma forse ancor di più la Mirra e l’Incenso, così rari e preziosi da essere ritenuti regali degni per il Re dei Re. In particolare, incenso è il nome generico di alcune resine vegetali che emanano intense fragranze quando vengono bruciate, ma é anche il nome dato a complesse miscele di legni odorosi, oli e resine in forma di coni, biglie o bastoncini da bruciare. L'usanza di bruciare incensi, intesi in entrambe le accezioni, è sempre stata molto diffusa in Estremo Oriente. I templi buddhisti erano noti in Occidente come "dimore dell'incenso". In Malesia, Thailandia e a Singapore, durante le feste cinesi, si bruciano ingenti quantità d’incensi, ma il loro impiego era già ben noto alle prime civiltà mesopotamiche. Sumeri, Babilonesi e poi Egizi utilizzavano le resine secrete dagli alberi della famiglia Boswellia. Bruciare legni profumati, come il Sandalo e il Cedro, è un’usanza dei riti Taoisti e Buddisti, in India e in Estremo Oriente.
In Giappone, recentemente, è tornato alla ribalta il rito del Kodo (la via del profumo). Sembra sia stato Yoshimasa, uno shogun dell’epoca Ashikaga (1350-1500 d.C.), a ordinare di classificare gli incensi e a creare le regole sull’arte di bruciarli, in modo da poterli “ascoltare”. Originariamente, otto o dieci persone si riunivano in stanze prive di ornamenti e di fragranze e, con un rituale piuttosto complesso, si passavano un incensiere in cui venivano bruciati legni odorosi o incensi, e ognuno “ascoltava” le diverse emanazioni, annotando le proprie emozioni o i ricordi, a volte citando brani di letteratura e, se vi riusciva, riconosceva la materia prima della fragranza. Alla fine, il cerimoniere dava lettura delle diverse annotazioni. I preparatori d’incensi mantengono uno scrupoloso riserbo sulla composizione delle loro ricette. L'impasto, a base di polvere di legni odorosi, resine, oli di piante, erbe aromatiche e miele, per la sua azione antifermentativa, e purea di prugne come legante, deve avere una consistenza tale da poter essere lavorato in forma di coni o biglie, o essere estruso e, una volta essiccato, non sbriciolarsi, bruciando con uniformità e regolarità. Le gheishe giapponesi li utilizzavano come orologi per calcolare il tempo passato con i clienti. Un buon incenso non necessita di supporti quali bastoncini di bambù o di metallo. Per noi occidentali l'odore di incenso è quello dei turiboli delle chiese e lo consideriamo come un unico odore, che definiamo appunto di incenso, ma essi in realtà sono innumerevoli e le loro caratteristiche olfattive possono variare quanto e più di quelle dei profumi in alcol. Può essere un'esperienza unica assaporarne uno che contenga oli e legno di rose e apprezzarne le modulazioni.
Tra i misteriosi ingredienti degli incensi ve ne è uno che ha una storia unica, un aroma inimitabile ed un costo astronomico. Come spesso accade, ha molti nomi ed un’origine misteriosa. E' una resina che si produce in un particolare albero, Aquilaria Agallocha o Aquilaria Malaccensis Lam., che può raggiungere i 40 metri di altezza e un diametro di 60 centimetri. Solo quando la pianta ha raggiunto una certa età, ha subito delle incisioni sul tronco ed è stata attaccata da particolari funghi (Phialophora parasitica, Aspergillus sp. o Fusarium sp.), il tronco e le radici secernono una sostanza resinosa aromatica. Diversamente dalle resine che gocciolano dai tronchi, questa si insinua al loro interno, scurendone la polpa, e non vi è modo di capire se sia presente e in che quantità se non abbattendo la pianta. Non è possibile ricreare la sua fragranza artificialmente perché la sintesi dei suoi molteplici costituenti avrebbe costi proibitivi. Il suo profumo è praticamente sconosciuto a noi occidentali. Esso è ambrato, legnoso, profondo, ma ne esistono almeno sei tipi diversi secondo la classificazione giapponese (Kyara, Rakoku, Manata, Manabau, Sumotara e Sasora), a ognuno dei quali è associata una specifica personalità (Aristocratico, Guerriero, Seduttore, Contadino, Mentitore, Monaco).
Per gli Arabi il suo nome è Oudh, cioè legno, ma è anche noto come Legno di Aloe (nulla a che fare con l'agave dalle foglie carnose contenenti la sostanza gelatinosa dall’azione antinfiammatoria), Legno di Aquila, Legno Agar, Gaharu. Per i Giapponesi il suo nome è Jinkoh (legno che affonda) proprio perché la resina al suo interno lo appesantisce al punto da non farlo più galleggiare in acqua. E’ ormai quasi impossibile trovarlo allo stato naturale, anche a causa delle deforestazioni, e la sua raccolta è oggi proibita in quasi tutto l’Estremo Oriente. Da qualche anno è iniziato in Vietnam il progetto Rainforest (www.therainforestproject.net) nel tentativo far riprodurre naturalmente, in apposite riserve, le Aquilarie e indurle a produrre la resina per ridare a questo paese una fonte naturale di una materia prima che vale sul mercato fino a 30mila dollari al chilo. Vi sono profumi che dichiarano di contenere l’Oudh, ma è in dubbio che si tratti di quello vero. Per chi volesse approfondire l’argomento consiglio la lettura del libro di Susanne Fisher-Rizzi, Incensi e profumi (l’uso, le proprietà e la storia) Tecniche Nuove 2001