Quasi sempre, nel parlare di un profumo, si usa dire N° 5 di Chanel, Eau Sauvage di Dior o Caléche di Hermès, senza che vengano mai fatti i nomi dei veri creatori che, in realtà, si chiamano rispettivamente Ernest Beaux, Edmond Roudnitska e Guy Robert. In effetti, sono rari i casi in cui il proprietario del marchio è anche l’autore delle fragranze, e quando ciò succede difficilmente avviene che questa coesistenza si mantenga a lungo anche nelle generazioni successive, come dimostrano i casi di Guerlain o di Coty. Quindi, l’assortimento di fragranze di una casa può essere stato creato da più “nasi”. E la magia è realizzata se, indipendentemente dalla personalità, la fragranza rispecchia la filosofia, l’immagine e la scelta stilistica della casa. Credo che sia ovvio che i profumi D’Orsay non siano più creati dal Conte D’Orsay, ma Tilleul, Chevalier D’Orsay e Dandy sono coerenti con il marchio. E le fragranze Dyptique sono espressioni di più creatori, ma rispecchiano il concetto che sta alla base di questo marchio.


Spessissimo, inoltre, chi decide di realizzare un profumo, non è profumiere e ha, invece, origini tra le più svariate: dal giornalista sportivo (Profumi di Pantelleria) al sarto (Knize), dal fiorista (Le Mille Feuilles) al barbiere (Geo Trumper, Truefitt&Hill), dal creatore di cravatte (Marinella) all’arredatore (Dyptique), dal gioielliere (Torrini) al nobile proprietario terriero e allevatore (Castle Forbes). E allora il titolare del marchio si avvale di un “naso” per realizzare le fragranze, arrogandosi il ruolo di giudice selezionatore. Nelle sedi delle case minori, storiche o di più recente costituzione, si assiste a questi incontri in cui il committente, invece che un manager, come avviene per i grandi marchi, è quasi sempre il proprietario, e allora il tutto è molto più vivo, più intenso e, soprattutto, non condizionato solo dagli studi di marketing strategico, sempre che si sia determinati a fare un prodotto dedicato alla “nicchia”.


Il miracolo si compie solo quando committente e “naso” riescono a creare un legame, a comprendersi, a instaurare un rapporto che li spinga entrambi a interpretare il sogno, il racconto, il ricordo del committente. Come un regista e un attore che devono continuamente domandarsi se lo spettatore comprenderà la scena, se le sensazioni che proverà si avvicineranno a quelle che loro avrebbero voluto fargli vivere. È estremamente interessante assistere a questi incontri in cui si selezionano le fragranze: le due parti si confrontano, si scambiano i ruoli, tentano di non farsi sviare dai propri ricordi, ricorrono a pareri esterni, che il più delle volte vengono in realtà ignorati, perché la scelta è viscerale, passionale e del tutto personale. Più la discussione preliminare è stata ampia, più sincera, spontanea e meno conflittuale sarà la decisione finale.


Un marchio di qualità deve avere omogeneità di stile, garantendo però la personalità e l’individualità di ogni fragranza. Facile, apparentemente, se il creatore delle fragranze è unico. Infatti, si ritiene che la “firma” dello stesso creatore sia facilmente riconoscibile, ma se lo è può voler dire che la sua palette, ovvero la selezione di ingredienti che utilizza più assiduamente, è troppo limitata o che la base su cui opera è quasi sempre la stessa. Essere originali, creativi al punto che ogni propria opera venga immediatamente riconosciuta per il suo stile inconfondibile, non è affatto facile, esattamente come per pittori e musicisti.


Guy Robert, figlio e nipote di grandi profumieri e mostro sacro a cui dobbiamo, oltre che Calèche, fragranze quali Madame Rochas, Equipage e Dioressence, nel suo libro Les sense du parfum spiega con cognizione di causa questi aspetti, con una scrittura così amabile che la definirei scanzonatamente istruttiva. Un’esperienza particolarmente interessante è stata quella di collaborare con un naso italiano molto esperto, ma che si è dovuto dedicare per anni solo alla realizzazione di profumi creati su commissione del marketing. Quando gli si è data la possibilità di lavorare su progetti destinati a una distribuzione estremamente selettiva, lo abbiamo visto, con una gioia sorprendente, creare e ricreare per ogni singolo incontro numerose “traduzioni” delle lunghe chiacchierate attorno a un tavolo, e ognuna di esse era una sfaccettatura del personaggio, del paesaggio, dello stile che si voleva rappresentare. A ogni singola creazione venivano attribuiti dal gruppo di discussione degli aggettivi e poi si rianalizzavano uno per uno i profumi con spirito critico e si continuava fino all’individuazione del candidato finale. Questi incontri si sono sempre risolti o con la decisione di ripartire da capo nella creazione di altre proposte o con la scelta definitiva del candidato, in entrambi i casi sempre all’unanimità.


L’estro creativo, se stimolato da un’appassionata descrizione, può dare frutti sorprendenti. Due casi recenti sono la nascita di Dammuso di Profumi di Pantelleria e di Baraja di Acqua di Biella: grandi interpretazioni della stessa mano e committenti molto diversi. Due perfette traduzioni di ciò che il committente aveva in testa e che vibrano delle sue emozioni.