Tra le centinaia di oli essenziali ve ne sono tre che hanno una personalità alquanto spiccata e un’indiscussa rilevanza nell’ “Arte del Profumo”. L’incenso ha mantenuto nei secoli un messaggio che definirei “mistico”, nelle sue diverse possibili accezioni, il tabacco quello di “mascolinità avventurosa” ed il vetyver, con i suoi sentori di terra polverosa, note boschive balsamiche e verdi, quello di “natura esotica”.
Prevalentemente utilizzate nelle composizioni di profumazioni maschili, hanno spesso avuto ruoli di interpreti discreti o di comprimari intriganti in molte creazioni della profumeria femminile.
Incenso
Sebbene sovente si associ l’incenso all’Oriente, in realtà l’Europa conosceva la resina della Boswellia già nel 400 a.C, infatti ne facevano uso anche i Druidi celtici. Si ritiene che guerrieri di questo popolo, al seguito delle spedizioni di Alessandro Magno, si impossessassero di notevoli quantità di resine di mirra e incenso durante le spedizioni in Persia e le portassero in patria dove venivano usate per i riti del solstizio d’inverno. Noto agli Egizi, decantato nel Vecchio Testamento, nel Cantico dei Cantici e nel Talmud ebraico venne poi abbondantemente utilizzato da Romani e Greci. La resina si ottiene per essudazione spontanea o a seguito di incisioni della corteccia. Le incisioni fatte in estate producono un incenso migliore, che viene raccolto in autunno col nome di incenso bianco, mentre quelle fatte in inverno danno luogo ad un prodotto di qualità inferiore, detto incenso rosso, raccolto in primavera. L’olio essenziale, noto anche come olibano, viene ottenuto da queste gomme oleoresinose per distillazione con vapore acqueo a bassa pressione.
I luoghi in cui veniva coltivata la Boswellia Sacra, da cui veniva raccolto l’incenso, erano mantenuti rigorosamente segreti e il tragitto verso i porti e i mercati del Medio Oriente attraverso la Via dell’incenso, lungo la penisola Arabica, veniva diviso in più tappe affidando a carovane diverse per ogni tratto il prezioso prodotto in modo che nessuno, all’arrivo, avesse conoscenza del luogo di partenza.
In Occidente, sebbene fosse inizialmente osteggiato dalla Chiesa Cattolica, il suo uso divenne quasi appannaggio unico della casta ecclesiale limitandone molto l’uso laico. Solo durante il Rinascimento, ed in particolar modo nella cosmopolita Venezia, se ne vide un consumo per scopi non religiosi.
In Oriente l’incenso ha sempre riscontrato grande interesse e in Giappone si è sviluppata la tecnica di composizione che ha portato a prodotti che in realtà non sono fatti solo di resine essudate dalle incisioni sulle cortecce degli alberi di Boswellia, ma anche da molti altri ingredienti che rendono questi incensi molto particolari e ricchi di sfumature olfattive che possono produrre emanazioni estremamente complesse, di una bellezza estetica che non ha nulla da invidiare alle moderne Eau de Parfum e risultano ben diverse, per equilibrio e raffinatezza, da quelle impositive e quasi monolitiche a cui siamo avvezzi sentendo certi incensi oggi molto diffusi.
Un buon incenso non necessita di “anime” rigide, quali bastoncini di legno o metallo, e non richiede uso di solventi o collanti.
In realtà, è un impasto di resine e gomme naturali con polveri di legni odorosi, erbe, fiori seccati e sminuzzati, marmellate di prugne o miele che, raggiunta la giusta consistenza viene estruso in trafile, con un sistema analogo alla produzione degli spaghetti, e il bastoncino deve ardere con regolarità e senza lasciare residui. La scelta degli ingredienti, la loro composizione armonica e la compatibilità con la combustione è un’arte complessa e difficile ma di certo le sue creazioni possono raggiungere risultati che rasentano il sublime.
Un aneddoto particolarmente curioso riguarda le Gheishe giapponesi. Esse facevano ardere dei bastoncini composti da più sezioni di miscele diverse. Ciò permetteva loro di misurare con discrezione il tempo passato, semplicemente al variare delle emanazioni odorose dei loro ottimi incensi.
Tabacco
Dal punto di vista olfattivo la nota tabacco viene assimilata a quella cuoio. L’odore caratteristico del cuoio deriva in gran parte dal processo di concia in cui vengono utilizzate sostanze aromatiche che sono fonte di tannini e tra queste spiccano i catrami di betulla, dalle caratteristiche tonalità bruciate, affumicate e quasi animali. Di conseguenza l’odore associato al cuoio può ricordare quello di certi tabacchi, i quali a loro volta devono il loro odore non solo alla foglia di tabacco essiccata ma anche a molte sostanze aromatiche utilizzate nella sua “concia” come l’Elicriso (noto anche come Immortelle) con una netta caratteristica acre, note legnose affumicate, dolci e balsamiche o la Fava Tonka dal sentore dolciastro e che ricorda anche il fieno.
Certamente la foglia di tabacco ha un suo specifico aroma caratteristico che deriva in gran parte dai processi di decomposizione ossidativa per essicazione al sole dei carotenoidi di cui è ricca. Sono lunghe molecole dalla struttura lineare e ricche di gruppi insaturi alla cui famiglia appartengono anche la vitamina A e il retinolo. Sono responsabili della colorazione vivace di molti frutti e vegetali e la variazione di colore da verde a marrone delle foglie di tabacco durante la lavorazione è il riflesso della decomposizione ossidativa controllata di queste molecole. Va comunque considerato che l’aroma dei tabacchi da sigaretta o da pipa ha contributi da parte anche di sostanze odoranti che si producono in fase di combustione.
Uno dei primi profumi con note tabaccate fu Tabarome Original di Creed, creato nel lontano 1875. Un capostipite nella profumeria moderna fu la creazione di Francois Coty “L’Emeraude” nel 1921 mentre Tabac Blond di Ernest Daldroff per Caron (1919), con note di ylang-ylang, garofano e foglie di tiglio su una base di cedro e patchouli e Knize Ten di Knize (1924) dalla base decisamente cuoiata aggraziata da agrumi, rosmarino, legni di cedro e sandalo, musk, ambra e castoreo avevano caratteristiche più nettamente cuoiate. Un degno successore fu Bel Amì di Hérmes (1986) mentre Le Dandy di D’Orsay, originariamente creato nel 1923 ma reinterpretato nel 1998 unisce un deciso carattere tabaccato ai sentori “barrique” del Brandy.
Può sorprendere sapere che molte creazioni con note tabaccate siano state originariamente create come profumi femminili che hanno poi avuto maggior riscontri in ambito maschile.
Vetyver
E’ una pianta verde che può crescere fino ad un metro in altezza e produce un rizoma filiforme utilizzato in Oriente per la confezione di stuoie aromatiche che, se bagnate ed esposte al sole, emanano un forte odore legnoso-terroso molto rilassante ed in grado di tenere lontani insetti e parassiti. Le sue radici, fittissime e tenaci, sono utilissime per consolidare terreni franosi e oggi vi sono specifici progetti di utilizzo del Vetyver per contrastare i danni causati dai disboscamenti.
Veniva coltivato prevalentemente nelle isole dell’Oceano Indiano ed in Indonesia. Il più pregiato per l’ottenimento dell’essenza è quello dell’isola di Rèunion mentre quello dell’isola Java è ritenuto meno pregiato per la profumeria. Oggi i maggiori produttori sono Haiti e Java ma l’isola di Réunion (o Bourbon come era chiamata una volta), che ha sofferto per la concorrenza causata dall’offerta di oli a più basso prezzo, ha ripreso dopo il 1999 la produzione grazie alla rinnovata domanda di essenza di eccelsa qualità.
L’essenza che si distilla dal rizoma ricorda l’olio essenziale di Sandalo ma ha accenni balsamici, terrosi, affumicati e un fondo dolce molto durevole. Può ricordare l’odore della buccia di patate ma dona una bel carattere legnoso alle composizioni olfattive.
Essendo però una nota un poco cupa, spesso nei profumi che lo contengono si aggiungono contributi agrumati e fioriti per rinfrescarlo. Il vetyver è spesso una materia prima indispensabile in composizioni fiorite-aldeidiche e in quelle orientali oltre che in quelle chypre.
Tra le migliori creazioni caratterizzate dalla sua presenza possiamo ricordare il Vétiver di Carven (1957) e la prima creazione di Jean Paul Guerlain, il tuttora indimenticabile Vétiver di Guerlain (1959).
Una terna di essenze, tutte non originarie dell’Occidente, i cui aromi sono oggi diventati parte del nostro patrimonio olfattivo. Una terna vincente perchè dà da secoli un contributo insostituibile alla profumeria e che in tempi recenti ha trovato nella Profumeria Artistica, promossa in selezionate profumerie di nicchia, un terreno fertile in cui far sviluppare tutte le sue più nascoste qualità.